Per secoli il corsetto ha rappresentato il simbolo della costrizione e della limitazione nella libertà dei movimenti, e non solo, delle donne. Le sue stecche e i suoi lacci dovevano contenere il busto femminile, modellandolo in modo innaturale, assottigliando in maniera decisa la parte bassa del busto, fino la vita. Soltanto un avvenimento drammatico come la prima guerra mondiale è riuscito a farlo sparire dai guardaroba, ma non per sempre. A partire dagli anni Cinquanta, infatti, assistiamo spesso al suo ritorno, non solo come capo da indossare sotto i vestiti ma anche fuori, al posto di top o t-shirt. La sua storia è lunga e affascinante, tutta da leggere!
Figurino di una blusa con vita strettissima, Rivista della Moda, 1899
Il corsetto nell’antichità
Le prime testimonianze dell’uso di un capo simile al corsetto, si trovano in alcune raffigurazioni rinvenute sull’isola di Creta e risalenti a circa dieci secoli prima di Cristo. Le figure femminili sono ritratte con abiti attillati nella parte del busto, decisamente scollati e con una vita molto stretta. Già in quest’epoca, quindi si usa una sorta di corsetto sotto i vestiti per enfatizzare la forma del petto e della vita. Tale usanza continua nel corso dei secoli successivi: le donne dell’antica Grecia e poi dell’antica Roma, indossano delle fasce di cuoio sotto i vestiti, anche in questo caso per assottigliare la vita.
La dea dei serpenti, Museo Archeologico, Iraklio, Creta
Dal Quattrocento al Seicento
Durante il Medioevo non si sente più parlare del corsetto: gli abiti sono morbidi e piuttosto ampi e la moda femminile catalizza la sua attenzione sulla ricchezza delle maniche, spesso ricamate e simbolo di agiatezza. A partire dal Quattrocento, però, torna l’uso del corsetto, in questo periodo soprattutto per la correzione di problemi di salute alla schiena, sia per le donne che per gli uomini. Due secoli dopo, nel Seicento, ricompare ma in questo caso non come indumento da portare sotto gli abiti ma come parte integrante del vestito. Il corsetto ora si allaccia sul davanti ed è chiuso da una pettorina mentre la vita si abbassa e termina sulla gonna con una punta. Il corsetto prende così la forma a imbuto che sarà quella tipica nei secoli a venire.
Figurino di abito aristocratico, XVII secolo. Da Pinterest
Ferro, lacci e stecche di balena
Ma com’è fatto il corsetto? Sebbene si sia evoluto, le sue caratteristiche peculiari sono rimaste sempre le stesse. Si tratta di un corpetto in tessuto reso rigido dall’inserimento di stecche di ferro, poi di balena, la cui larghezza si può calibrare grazie ai lacci, posti in genere nella parte posteriore. Non si porta a contatto con la pelle ma sempre sopra una camicia perché non è semplice da lavare. Presso i reali di Spagna, tra Cinquecento e Seicento, diventa di uso piuttosto comune la cotilla: un corsetto molto rigido che dà al busto una forma conica e appiattisce le forme femminili. La cotilla non è solo in tessuto, spesso è realizzata in ferro o acciaio, e rende la figura altera e severa, oltre impedire la maggior parte dei movimenti. Col tempo anche tra le classi meno agiate si diffonde l’uso del corsetto ma più per sostenere la schiena e il petto che per costringere, visto che si tratta di donne che lavorano. In questi casi le stecche di balena sono sostituite da nastri e il tessuto è più morbido.
Corsetto di ferro, XVI secolo, Museo Stibbert, Firenze. Da Pinterest
Mai senza corsetto
Alla corte di Francia il corsetto vede aumentare a dismisura la sua popolarità. Ormai le aristocratiche lo indossano tutti i giorni, non solo nelle occasioni speciali. Gli abiti in questi decenni prevedono il seno spinto in alto, la vita sottile e i fianchi allargati dal panier. Questa è la tipica silhouette femminile del Settecento, simbolo della ricchezza e del potere dei reali e degli aristocratici, insieme alle altissime parrucche iper decorate (e per niente igieniche). L’ampiezza del panier rappresenta anche il grado di ricchezza di chi lo indossa: più è ampio e più è alto il rango di chi lo porta. La Rivoluzione Francese però spazza via tutto questo e promuove il ritorno a una moda più semplice, senza troppi orpelli e frivolezze. Così per alcuni decenni il corsetto finisce in soffitta a favore di fasce meno costrittive da indossare sotto gli abiti lineari stile Impero.
Abito composto da corsetto e panier, seconda metà del Settecento. Foto dalla mostra “L’arte della moda. L’età dei sogni e delle rivoluzioni 1789 – 1968”, Musei San Domenico, Forlì, 2023.
La linea a S
Con la fine del Neoclassicismo gli abiti tornano a essere più strutturati. La vita si posiziona nuovamente alla sua altezza naturale, la gonna ha la forma a campana e il busto è di nuovo rigido, con spalle spioventi e maniche ampie. Ritorna così l’uso del corsetto sotto i vestiti e il desiderio di sfoggiare un vitino da vespa. Nel corso dei decenni dell’Ottocento la moda continua a proporre abiti con la vita stretta e la gonna ampia, sempre più ampia. A metà del secolo la crinolina (la rete metallica che si lega in vita e sostiene la gonna) diventa così larga che spesso le donne devono passare di profilo attraverso le porte! Per compensare tali ampiezze il busto è attillato e la circonferenza della vita sempre più stretta. Finita la moda della crinolina le cose non cambiano, anzi! Dal vitino da vespa, negli ultimi decenni del secolo, si passa alla linea a S. Il corsetto si modifica e si allunga, stringendo sempre la vita ma, oltre a portare in alto il petto, appiattisce il ventre e spinge indietro il bacino. Vista di profilo la silhouette femminile acquista proprio la forma di una S.
Abito Sarta Marianna Cantelli, 1878 – 1881 circa, Palazzo Morando-Costume Moda Immagine. In mostra durante “L’arte della moda. L’età dei sogni e delle rivoluzioni 1789 – 1968”, Musei San Domenico, Forlì, 2023.
Nel Novecento
Progressivamente il corsetto viene messo sempre più in discussione, per le conseguenze negative sulla salute e anche perché, sempre più stilisti, propongono abiti che non ne prevedono l’uso. In Francia tra i primi ci sono Paul Poiret, con la sua moda che guarda all’Oriente, e Coco Chanel, che propone abiti semplici e di ispirazione maschile. In Italia invece c’è Rosa Genoni che, ripensando all’antichità, presenta l’abito Tanagra, che si drappeggia intorno al corpo. Ormai è sempre più forte il desiderio di liberare il corpo femminile dalle costrizioni secolari e l’uso del corsetto appare sempre più obsoleto e anacronistico. Dopo la prima guerra mondiale le donne iniziano a vivere una vita più dinamica, ad avere un ruolo più attivo nella società e vogliono abiti che non ne costringano più i movimenti. È la fine del corsetto? No, perché pochi decenni dopo, couturier come Christian Dior propongono abiti con corpetti rigidi e stretti e gonne ampie, chiaro richiamo alla moda ottocentesca. Però c’è una grande differenza: è finita la dittatura del corsetto che costringe il busto e la vita sotto gli abiti, ora le donne ora possono scegliere se indossarlo o meno, in piena libertà.
Rosa Genoni indossa l’abito Tanagra, 1908
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